Immaginate di trovarvi a Vigevano, alla fine dell’Ottocento. È una giornata tranquilla lungo Corso Vittorio Emanuele: le signore passeggiano con ombrellini ricamati, le carrozze sollevano la polvere, i bambini rincorrono aquiloni tra le facciate eleganti della città. E tra queste, una in particolare attira lo sguardo: il Teatro Municipale, che solo dopo il 1896 prenderà il nome del musicista Antonio Cagnoni.
Quando fu costruito, nel 1873, fu un vero progetto civico. Il Comune, con una mossa geniale, decise di finanziare la costruzione vendendo in anticipo i palchi. Nascono così i “palchettisti”: cittadini che acquistano il proprio spazio riservato e, con esso, diventano mecenati di un sogno collettivo.
Il progetto fu affidato all’architetto Andrea Scala, e in appena due anni il teatro vide la luce. Guardate bene la facciata: sobria ma armoniosa, con un gusto eclettico tutto ottocentesco. Tre arcate al piano terra e grandi finestre al piano superiore raccontano l’eleganza del tempo. Ma è entrando che si scopre la vera meraviglia.
La sala si apre in tre ordini di palchi a ferro di cavallo, con velluti blu, stucchi raffinati e luci soffuse. La platea accoglie la borghesia cittadina; i palchi sono il regno delle famiglie benestanti, e nel loggione — lassù in alto, sotto il tetto — sedeva chi non poteva permettersi di più: la servitù, gli operai, i giovani. Eppure si diceva che i veri intenditori d’opera stessero proprio lì, nel punto in cui l’acustica era perfetta e l’emozione pura.
E poi ci sono i due sipari storici, dipinti dal vigevanese Giovanni Battista Garberini. Il primo rappresenta Camilla Rodolfi, l’eroina a cavallo che difese Vigevano durante l’assedio sforzesco: una figura potente, che incarna il coraggio cittadino. Il secondo è più dolce, quasi da cartolina: una giornata di festa sul Ticino, con barche, alberi e famiglie in villeggiatura.
Il teatro fu inaugurato l’11 ottobre 1873 con Un ballo in maschera di Verdi. Sul podio, pensate un po’, c’era Domenico Cagnoni, fratello di Antonio. Il nome non era ancora inciso sul frontone… ma già risuonava tra le note.
Il Teatro Cagnoni oggi è ancora lì. E se lo guardate con attenzione, potete quasi sentire gli applausi, gli abiti fruscianti, le note che salgono dal palco fino al loggione. Un luogo dove la città si specchia in se stessa. E continua a raccontarsi.
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Una sera al Cagnoni – L’inaugurazione del Teatro
Immaginate di trovarvi a Vigevano, alla fine dell’Ottocento. È una giornata tranquilla lungo Corso Vittorio Emanuele: le signore passeggiano con ombrellini ricamati, le carrozze sollevano la polvere, i bambini rincorrono aquiloni tra le facciate eleganti della città. E tra queste, una in particolare attira lo sguardo: il Teatro Municipale, che solo dopo il 1896 prenderà il nome del musicista Antonio Cagnoni.
Quando fu costruito, nel 1873, fu un vero progetto civico. Il Comune, con una mossa geniale, decise di finanziare la costruzione vendendo in anticipo i palchi. Nascono così i “palchettisti”: cittadini che acquistano il proprio spazio riservato e, con esso, diventano mecenati di un sogno collettivo.
Il progetto fu affidato all’architetto Andrea Scala, e in appena due anni il teatro vide la luce. Guardate bene la facciata: sobria ma armoniosa, con un gusto eclettico tutto ottocentesco. Tre arcate al piano terra e grandi finestre al piano superiore raccontano l’eleganza del tempo. Ma è entrando che si scopre la vera meraviglia.
La sala si apre in tre ordini di palchi a ferro di cavallo, con velluti blu, stucchi raffinati e luci soffuse. La platea accoglie la borghesia cittadina; i palchi sono il regno delle famiglie benestanti, e nel loggione — lassù in alto, sotto il tetto — sedeva chi non poteva permettersi di più: la servitù, gli operai, i giovani. Eppure si diceva che i veri intenditori d’opera stessero proprio lì, nel punto in cui l’acustica era perfetta e l’emozione pura.
E poi ci sono i due sipari storici, dipinti dal vigevanese Giovanni Battista Garberini. Il primo rappresenta Camilla Rodolfi, l’eroina a cavallo che difese Vigevano durante l’assedio sforzesco: una figura potente, che incarna il coraggio cittadino. Il secondo è più dolce, quasi da cartolina: una giornata di festa sul Ticino, con barche, alberi e famiglie in villeggiatura.
Il teatro fu inaugurato l’11 ottobre 1873 con Un ballo in maschera di Verdi. Sul podio, pensate un po’, c’era Domenico Cagnoni, fratello di Antonio. Il nome non era ancora inciso sul frontone… ma già risuonava tra le note.
Il Teatro Cagnoni oggi è ancora lì. E se lo guardate con attenzione, potete quasi sentire gli applausi, gli abiti fruscianti, le note che salgono dal palco fino al loggione.
Un luogo dove la città si specchia in se stessa. E continua a raccontarsi.
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